giovedì 13 ottobre 2011

Le leggende popolari come fonte d'ispirazione. La storia delle Panas

Donne sarde mentre lavano i panni
L’Italia conserva un patrimonio incredibile di leggende e storie popolari che a bellezza e importanza non sono da meno a quello monumentale per il quale è famosa in tutto il mondo.


In Sardegna queste antiche storie hanno un retrogusto fantastico. Storie tenebrose senza morale da tramandare. In genere hanno una base comune, arricchita poi dal cantastorie di turno che vuole convincere lo spettatore di aver vissuto quei fatti in prima persona. Non a caso sono sussurrate principalmente nelle calde notti estive, o d’inverno davanti al camino o alla stufa mentre lo scricchiolio della legna che brucia fa da colonna sonora.
Le parole sono riferite come un segreto che non deve essere svelato perché testimonianze scomoda di una realtà che in molti vogliono ignorare.

Una di queste storie racconta il tormento delle PANAS, spiriti inquieti delle donne morte nel parto. Esse tornavano temporaneamente fra i mortali con le stesse sembianze che avevano da vive.
Essendo morte in un momento particolare della loro esistenza (considerato "impuro"), erano condannate a lavare i panni della loro creatura per un tempo che variava dai due ai sette anni. Per questo potevano essere scorte lungo i ruscelli posti ai crocevia, fra l'una e le tre del mattino, mentre lavavano e cantavano una tristissima ninna-nanna.
La loro condanna implicava l'assoluto divieto di parlare o di interrompere il lavoro: se questo accadeva, esse dovevano ricominciare daccapo il tempo della penitenza. Pertanto, se erano distratte dalla loro condanna, le Panas si vendicavano spruzzando addosso dell’incauto visitatore acqua, che però bruciava come fuoco. Secondo altri le loro maledizioni erano tremende e pericolose quanto e più della morte.

Ecco uno spunto che può essere sfruttato sapientemente da uno scrittore o da chi si voglia per produrre un’opera che affonda le sue radici su antichi racconti che in questo modo non andrebbero perduti.

La creatività fiorisce in questo terreno fertile e in molti l’hanno capito. Marco Antonio Pani è un brillante regista che ha realizzato un cortometraggio, a mio giudizio, fantastico traendo spunto da questa leggenda. Un esempio di alta qualità che ci suggerisce la via da percorrere quando si è colpiti dal famoso “vuoto dello scrittore”.

Vi rubo venti minuti del vostro tempo per mostrarvi il lavoro di questo ingegnoso regista. I dialoghi sono in lingua sarda ma i sottotitoli vi aiuteranno a capire il senso della storia.


Note sul regista.
Marco Antonio Pani (Sassari 1966) Prima assistente operatore poi montatore e sceneggiatore, realizza numerosi documentari. Nel 2004 firma la regia del documentario Els Pintors Catalans a Sardenya e nel 2005 vince il premio AVISA dell’ISRE con il progetto di cortometraggio Panas. Nel 2010 realizza il documentario Arturo torna in Brasile, premiato nel concorso Storie di emigrati Sardi, e Miglior Film d’autore Sardo al SIEFF-XV International Ethnographic Film Festival di Nuoro (Italy). Da otto anni insegna cinematografia in diverse Università di Barcellona.

Fonte:
L'immagine è tratta da Sardegna Digital Library
Babel Festival

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